Kavkaz Files ISSN 2975-0474 Volume 16 Issue 1
Author: Emanuele Aliprandi
Il vertice Armenia-Azerbaigian che si è tenuto a Bruxelles permette di concentrare l’attenzione sulla questione dei confini nazionali armeni e azerbaigiani la cui soluzione dovrebbe essere risolutiva e non creare ulteriori tensioni regionali.
Il 14 maggio 2023, ospiti del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, si sono nuovamente incontrati il presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev e il Primo ministro dell’Armenia Nikol Pashinyan. Nessuno dei due ha rilasciato dichiarazioni al termine dell’incontro, durato oltre quattro ore, e l’unico documento ufficiale è una nota del padrone di casa che accoglie positivamente i colloqui, rimandando a ulteriori appuntamenti a Chisinau (Moldavia) il primo giugno e a Granada (Spagna) in ottobre.
Ancora una volta, così come nei precedenti vertici di ottobre 2022 (a Praga il 7 e a Sochi il 31), nel comunicato ufficiale viene riportato che le parti hanno «confermato il loro inequivocabile impegno nei confronti della Dichiarazione di Almaty del 1991 e della rispettiva integrità territoriale dell’Armenia (29.800 km2) e dell’Azerbaigian (86.600 km2). La delimitazione definitiva del confine sarà concordata attraverso i negoziati».
Ora, a prescindere da tutte le implicazioni che siffatto assunto può avere per la repubblica de facto dell’Artsakh (Nagorno Karabakh), merita di essere evidenziata la circostanza che per la prima volta è stata specificata la superficie dei due Paesi: questa sottolineatura appare una risposta alle dichiarazioni a suo tempo rilasciate dalle autorità di Stepanakert secondo la quale «al momento della firma della Dichiarazione di Alma-Ata [oggi Almaty, NdA], il 21 dicembre 1991, l’Artsakh non faceva parte dell’Azerbaigian. Il 2 settembre 1991, fu proclamata la Repubblica dell’Artsakh» (così l’allora ministro degli Esteri dell’Artsakh, Babayan, a dicembre 2022, in risposta a una dichiarazione del collega russo Lavrov).
Scenario geopolitico Armenia-Azerbaigian: la questione dei confini
Rimando in futuro l’analisi le prospettive per la regione contesa alla luce di quanto sopra, è chiaro che l’indicazione della superficie territoriale in quest’ultimo comunicato è un passo avanti a favore di Baku.
La questione dei confini tra Armenia e Azerbaigian rimane però irrisolta. A nulla è servita la creazione di una commissione ad hoc lo scorso anno dal momento che lo sviluppo dell’attività bellica ha di fatto annullato qualsiasi accordo eventualmente già raggiunto.
Giova ricordare che per tutta l’esperienza sovietica il confine tra la Repubblica Socialista Sovietica Azera e quella Repubblica Socialista Sovietica Armena era puramente simbolico: non vi era alcun controllo doganale e serviva solo a delimitare territorialmente l’applicazione dell’attività amministrativa di una repubblica piuttosto che dell’altra.
Lo scoppio della guerra nel 1992 e la conclusione del conflitto ha ulteriormente modificato la linea di demarcazione tra la repubblica di Armenia e quella dell’Azerbaigian. Tutto il confine da Sotk (dove insiste una miniera d’oro a cielo aperto e che è stato teatro di un attacco azero nei giorni scorsi) fino al confine con l’Iran di fatto cessava di esistere dal momento che sia da una parte che dall’altra si trovavano gli armeni: di qui quelli dell’Armenia, di là quelli dell’Artsakh nelle regioni di Karvachar (Kelbajar) e Kashatagh (Lachin, Qubadli e Zangilan). Due posti di controllo ingressi gestiti da Stepanakert lungo le due strade provenienti da Goris e da Vardanis (Armenia) erano, con la cartellonistica di rito, l’unica testimonianza del passaggio da una parte all’altra.
La conclusione dell’ultima guerra ha visto il netto successo militare dell’Azerbaigian e ha (ri)proposto il problema del confine fra i due Stati. Dal maggio 2021, a più riprese, fino all’invasione di settembre 2022 la parte azera ha occupato vaste porzioni di territorio armeno (oltre 200 km2) partendo dal presupposto che si trattava di “terre storiche azerbaigiane” e che – come dichiarato dallo stesso presidente Aliyev – in mancanza di fortificazioni di confine nulla impediva agli azeri di avanzare.
Questi sconfinamenti, ai quali sono seguiti opere di ingegneria militare per il mantenimento delle posizioni conquistate, erano e sono finalizzati (l’ultimo in ordine di tempo nei pressi del villaggio di Tegh all’imbocco del corridoio di Lachin) al controllo del territorio armeno, all’allontanamento della popolazione dal confine e come possibile merce di scambio per future trattative.
Conclusioni
Ora, è evidente che il riconoscimento delle reciproche integrità territoriali porterà necessariamente a una ridefinizione delle posizioni sul campo essendo impensabile un qualsiasi accordo di pace fra due Paesi, uno dei quali occupa parzialmente l’altro. A tale scopo basterebbero le vecchie mappe di epoca sovietica o, più banalmente, i rilievi di Google Map. Ma la definizione dei contenziosi nel Caucaso meridionale è sempre molto complicata.
Piuttosto, una questione, non di secondaria importanza, che rimane aperta è quella delle enclave/exclave che furono istituite in epoca sovietica. In Azerbaigian ve ne è una armena (Artsvashen), mentre in Armenia ve ne sono diverse: quella di Karki (Tigranashen) al confine con il Nakhjevan e alcune al confine tra le regioni di Tavush (ARM) e Qazakh-Tovuz (AZE).
Con la guerra degli anni Novanta sono state reciprocamente occupate. Dopo l’ultimo conflitto, l’Azerbaigian ha rimesso in discussione la rivendicazione delle stesse. Complessivamente si tratta di territori di pochi chilometri quadrati che tuttavia assumono un particolare rilievo strategico in quanto si trovano su importanti direttrici stradali in Armenia che si troverebbe così a dover costruire percorsi alternativi di non facile progettazione.
Già dopo l’accordo tripartito del novembre 2020, Yerevan si è ritrovata con uno dei suoi più importanti assi di collegamento fuori uso: il corridoio meridionale da Goris via Kapan verso Meghri e quindi l’Iran per alcuni chilometri è finito in territorio azero. Fin tanto che dall’altra parte del confine vi erano gli armeni dell’Artsakh il problema non si poneva, ovviamente.
Dopo l’ultima guerra gli azeri hanno occupato le sezioni di loro pertinenza impedendo di fatto il transito ai veicoli da e per l’Iran, ovvero da e verso una delle due uniche frontiere aperte per l’Armenia. Yerevan ha dovuto predisporre dunque un poco agevole percorso alternativo tra le montagne del Syunik il cui transito per i mezzi pesanti, specie in inverno, è alquanto problematico.
Se l’Azerbaigian ottenesse il controllo delle exclave del nord, il problema si riproporrebbe per una delle principali arterie che portano in Georgia, l’altro confine aperto dell’Armenia.
A margine dell’ultimo vertice di Bruxelles, il viceministro degli Esteri dell’Armenia, Paruyr Hovhannisyan, ha dichiarato di non sapere se il tema delle enclave sia stato discusso nel suddetto incontro. Il che lascia aperta più di una incertezza sul futuro dei rapporti tra i due Stati.
Il tema dei confini tra Armenia e Azerbaigian (oltre agli altri temi in agenda, fra i quali il ritorno dei prigionieri armeni di guerra, lo sblocco dei commerci oltre ovviamente alla sorte della popolazione del Nagorno Karabak-Artsakh) rimane dunque un aspetto molto importante da risolvere nel difficile cammino per una soluzione di pace. Che va ricercata ad ogni costo, ma facendo attenzione che la soluzione raggiunta non crei ulteriori insormontabili problemi soprattutto per la piccola Armenia.
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