Il libro “1979 Rivoluzione in Iran. Dal crepuscolo dello scià all’alba della Repubblica Islamica” scritto da Nicola Pedde e pubblicato da Rosenberg & Sellier offre una analisi storica dettagliata degli eventi e dei personaggi che hanno caratterizzato il periodo prerivoluzionario e posto le basi per i moti che a partire dal 1978 hanno riscritto la fisionomia del paese.
Nel 1979 una rivoluzione ha cambiato drasticamente il volto dell’Iran, traghettando il paese da un sistema monarchico alleato dell’Occidente ad un sistema di governo definito Velāyat-e faqih (in persiano ولایت فقیه, ‘tutela del giurisperito’), che conferisce la leadership politica, in assenza dell’Imam divinamente ispirato, al faqīh (giurista nel diritto canonico islamico). L’ayatollah Ruhollah Khomeini (rahbar-e enqelāb) è il primo leader dell’Iran postrivoluzionario. Nel 1979 Mohammad Reza Pahlavi, ultimo Shah di Persia, lascia il paese ritrovandosi a girovagare negli ultimi 16 mesi della sua vita, rifiutato da tutti quei capi di Stato che lo avevano adulato sino a pochi mesi prima, per finire i suoi giorni in Egitto, dove Anwar Sadat gli permise di morire e trovare sepoltura. Il 1° febbraio l’Ayatollah Khomeini arriva a Teheran. L’11 febbraio crollò definitivamente la dinastia Pahlavi sotto i colpi dei guerriglieri e delle truppe ribelli che sovrastarono le truppe fedeli al monarca. Il 1° aprile un referendum nazionale sancisce la nascita della Repubblica Islamica dell’Iran.
Come afferma lo storico iraniano Ervand Abrahamian, “l’Iran è entrato nel Novecento con i buoi e l’aratro di legno. Ne è uscito con le acciaierie, una percentuale di incidenti automobilistici tra le più alte nel mondo e, tra lo sgomento di molti, un programma nucleare”. Ma cosa è successo nel mezzo? Quali sono le dinamiche e gli attori che hanno concorso a creare una frattura così drastica nella conformazione politica e sociale del paese?
Nel suo libro Nicola Pedde, attualmente direttore dell’Institute for Global Studies e precedentemente analista per il Centro Militare di Studi Strategici del Centro Alti Studi per la Difesa, opera un’approfondita analisi storica di uno degli eventi più significativi del Novecento. Benché non si possano racchiudere secoli di storia in 119 pagine, Pedde guida il lettore attraverso gli eventi ritenuti più significativi del processo storico che ha portato agli sconvolgimenti del ’79, con minuzia di dettagli e ridisegnando i volti ed i profili di alcuni dei personaggi storici più rappresentativi delle correnti intestine del paese.
Il libro prende il via dalla dissoluzione della dinastia Qajar, passando per il governo nazionalista di Mossadeq ed al golpe organizzato dagli Stati Uniti nel 1953 fino alla monarchia di Reza Mohammad Pahlavi, conosciuto come Shahensha aryamehr, ‘re dei re e luce degli ariani’. Pedde ci restituisce l’immagine di un monarca dalla genuina e sincera volontà modernizzatrice, la cui però gestione autoritaria provocò gravi frizioni sociali in una società ancora arretrata e tradizionalista.
Tra gli elementi che sancirono l’inizio della fine dell’Iran pre-rivoluzionario l’autore sottolinea l’assenza di un pluralismo politico, la repressione da parte della Savak (la polizia segreta), la radicalizzazione del clero i cui interessi economici erano stati intaccati e che respingeva la modernizzazione dei costumi avviata dallo Shah, la crisi del commercio che coinvolse i bazarì e, infine, una comunità internazionale sia in parte fuorviata dalle copertine dei rotocalchi che riportavano lo sfarzo della corte e sia maggiormente interessata a chiudere gli occhi davanti ad un paese che comprava a piene mani armi e tecnologie occidentali, in un flusso di spesa che sembrava inarrestabile. L’autore ripercorre anche i vari partiti che si sono avvicendati nella scena politica dell’Iran, i movimenti studenteschi, la lotta armata e le strategie di repressione della Savak e dei suoi vertici. Il secolo che precede la rivoluzione è stato altresì caratterizzato da intrighi di potere, attentati ai vertici delle istituzioni finanche al monarca stesso. A margine delle dinamiche del paese, Pedde pone in evidenza il ruolo giocato dalle potenze internazionali che hanno cavalcato i moti interni all’Iran e le alleanze, rendendolo di fatto terreno di scontro di interessi stranieri e ponendo le basi di quel sentimento antimperialista oggi ben radicato nella sua leadership.
Il fallimento della riforma agraria, che doveva essere il fiore all’occhiello della politica del monarca, aveva spostato un enorme numero di individui dalle aree rurali in direzione delle città. Nacquero sobborghi e periferie caratterizzate dall’assenza dei servizi più elementari, in cui masse di ex allevatori e contadini vivevano in condizioni malsane. La élite del paese, del tutto estranea alla nuova realtà sociale, visse fino alla vigilia della rivoluzione una vita caratterizzata da opulenza e frequenti eccessi. Le tensioni che crebbero nel ’78 non erano ancora di stampo religioso, ma nascevano dal malcontento per la disoccupazione, la corruzione e per l’arroganza dell’élite del paese. La religione fu un veicolo narrativo, secondo Pedde, divenendo voce di libertà, soprattutto perché la protesta veniva diramata dalle moschee e la critica al sovrano veniva registrata clandestinamente in Iraq dall’Ayatollah Khomeini, che in breve tempo divenne l’immagine della richiesta di cambiamento.
La rivoluzione che vide la partecipazione di tutte le classi sociali dell’Iran, in una esperienza storica unica, dove parteciparono unite tutte le anime del pensiero sociale, dal nazionalismo al comunismo, attraverso una alleanza che volse spontaneamente e sinceramente lo sguardo verso la ricerca della giustizia e della libertà, colse di sorpresa tanto l’Occidente quanto l’Iran.
Recensione a cura di Silvia Boltuc, Managing Director di SpecialEurasia.