Nel quadro del Webinar “Sicurezza e minaccia terroristica nello scacchiere geopolitico euroasiatico” il Dott. Stefano Vernole ha illustrato quali siano a suo parere gli attuali interessi strategici, le sfide e le minacce che interesseranno nel futuro immediato la regione euroasiatica.
L’Eurasia ricopre un ruolo fondamentale nello scacchiere geopolitico internazionale. Secondo la teoria dell’Heartland di Mackinder il controllo della regione euroasiatica permette a una potenza di controllare l’intero mondo, ragion per cui Zbigniew Brzezinski, politologo, consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter (1977-1981) e autore del libro La grande scacchiera. Il mondo e e la politica nell’era della supremazia americana, aveva elaborato una dottrina volta a impedire l’ascesa di una potenza in Eurasia che potesse contrastare la supremazia degli Stati Uniti.
Oggigiorno l’Eurasia è ancora fulcro dello scacchiere geopolitico mondiale caratterizzata, però, dall’emergere di differenti attori internazionali (Stati Uniti, Russia, Cina) e regionali e anche dalla presenza di gruppi terroristici in grado di influenzarne le sorti. Nel quadro delle attività di SpecialEurasia di monitoraggio e analisi della regione euroasiatica abbiamo sviluppato un progetto volto a comprendere in che modo la minaccia del terrorismo e gli interessi strategici possono influenzare le dinamiche regionali, argomento che verrà trattato ampiamente nel Webinar “Sicurezza e minaccia terroristica nello scacchiere geopolitico euroasiatico” organizzato il giorno 16 dicembre 2021 alle ore 19.00 a cui prenderà parte tra i diversi oratori anche il Dott. Stefano Vernole, Vicedirettore di Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici e Direttore delle Relazioni Esterne del CeSEM – Centro Studi Eurasia Mediterraneo.
Abbiamo quindi chiesto al Dott. Vernole di fornirci una panoramica della regione euroasiatica secondo la sua chiave di lettura che verrà ampiamente discussa e analizzata durante il Webinar “Sicurezza e minaccia terroristica nello scacchiere geopolitico euroasiatico”.
Perché la regione dell’Eurasia è importante nel panorama geopolitico internazionale?
“Tutti i grandi analisti geopolitici angloamericani hanno storicamente riconosciuto la centralità dell’Eurasia per il controllo del mondo, dividendosi poi sulle modalità di attuazione di questo disegno di egemonia globale. Fino al crollo dell’Unione Sovietica, le amministrazioni susseguitesi a Washington fecero proprio il monito di Mackinder: evitare la formazione di una grande potenza eurasiatica, ricorrendo ad alleanze strategiche (in primis convertendo il Giappone in uno stato-satellite, in secundis sfruttando la crisi sino-sovietica, avvicinandosi alla Repubblica Popolare Cinese) e contenendo la minaccia sovietica su ogni fronte (dal Vietnam all’Afghanistan).
Dal 1991 ad oggi, gli Stati Uniti hanno aumentato la propria presenza in Asia e i Medio Oriente, evidenziando l’attualità della teoria dell’Heartland.
Dalla fine della guerra fredda ad oggi, l’Asia Centrale è divenuta un’area di primaria importanza per gli equilibri geopolitici del Pianeta ed è stata investita dall’attenzione delle grandi potenze. Gli attori regionali, in primis Russia e Cina, si sono trovati nella necessità di rispondere alle sfide lanciate dall’unica potenza mondiale rimasta sia per quanto riguarda gli interessi interni all’area sia nella sistemazione del proprio spazio geopolitico. L’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (OCS) è la principale e comune risposta messa in piedi dalle potenze situate nella regione. Soltanto elencando gli aderenti a tale Organizzazione si è in grado di capire il peso che essa potrebbe avere nel futuro delle relazioni internazionali e degli assetti geopolitici mondiali: essa copre i 3/5 del continente eurasiatico e oltre la metà della popolazione mondiale.
Il processo di costituzione della OCS nasce dalla risoluzione definitiva delle dispute confinarie che contrapponevano la Cina e lo spazio russo. Questi accordi sorgono dalla necessità, naturale, di trovare un comune sviluppo dopo il crollo dell’URSS e la crescita esponenziale della potenza cinese. Risolte le varie dispute, in un crescendo di integrazione eurasiatica, l’Organizzazione di Shanghai è passata a regolamentare i rapporti dei suoi membri in ogni campo possibile: dalle questioni interne dei vari Paesi con l’interesse di proteggerne la sovranità, alla collaborazione contro le nuove minacce rappresentate da terrorismo, estremismo e separatismo, passando per la cooperazione energetica in un’area ricchissima di gas, petrolio e fondamentale per l’allocazione mondiale di queste risorse; la collaborazione si è estesa anche al campo militare confermando che l’OCS, anche attraverso l’appoggio che continua a dare all’Iran (sempre più vicino Mosca e Pechino), sta tentando di creare un ‘polo’ in grado di rendersi autonomo dall’egemonia statunitense sul mondo. Maggiore è l’interconnessione fra il cuore del continente e la sua fascia costiera, più la Belt and Road Initiative cinese acquisisce importanza per la regione, più aumentano le chance per la Cina di acquisire il controllo dell’ ‘Isola-mondo’ di Mackinder e del Rimland di Spykman.”.
Quali sono i tre trend principali che crede possano minacciare la sicurezza della regione?
“Il primo cerchio, quello dei Paesi immediatamente coinvolti nei nuovi scenari apertisi in Afghanistan dopo il ritiro americano, sono i Paesi confinanti: Pakistan, Iran, Turkmenistan, Uzbekistan e Tagikistan. I Paesi in questione hanno una serie di problemi che li accomunano: sono stati resi tendenzialmente deboli da una serie di problematiche economiche. L’Iran per le sanzioni imposte dagli USA, il Turkmenistan e l’Uzbekistan per la loro economia caratterizzata dalla monocoltura delle materie prime, il Tagikistan per l’assenza delle medesime (se escludiamo acqua ed energia idroelettrica) e di una vera e propria struttura economica autonoma, il Pakistan per le proprie congenite povertà, instabilità, carenza di infrastrutture e di investimenti, alto debito pubblico e scarse riserve valutarie.
Tutti questi Paesi sono anche accomunati da alcune caratteristiche in politica estera: un certo grado di diffidenza nei confronti di Washington – da quella silente di Tashkent a quella attiva di Islamabad a quella conflittuale di Teheran – e un certo grado di conseguente apertura al dialogo con Mosca e Pechino: dall’alleanza de facto del Pakistan con la Cina o del Tagikistan con la Russia, al sempre più flebile terzaforzismo di Teheran, via via più aperto ad una stabile amicizia con le due grandi capitali. Vi è un terzo fattore che accomuna questi attori: l’ostilità per l’estremismo fondamentalista e settario (ed una conseguente diffidenza verso il nuovo governo dei talebani) che va dalla ricerca di un vigile modus vivendi, come nel caso iraniano, turkmeno o uzbeko, al vero e proprio rifiuto, almeno ufficiale, di ogni dialogo con Kabul, come nel caso tagiko. Un caso particolare è costituito dal Pakistan, ha creato i talebani, li ha sostenuti con ogni mezzo e continua a sostenerli. Privo di qualsiasi profondità geografica, in caso di conflitto con l’India il Pakistan avrebbe in un Afghanistan amico la propria retrovia ideale; perciò esso continuerà a cercare di garantirsi l’amicizia dei talebani. Tutti questi fattori hanno dato il ‘la’ ad una febbrile fase di dialoghi bilaterali, con l’obiettivo di giungere ad una storica integrazione eurasiatica.
Sono almeno tre le possibili difficoltà alla sua realizzazione:
- La rivalità (che finora non è mai sfociata in aperta competizione) tra Russia e Cina per l’influenza in Asia Centrale.
- La stabilità di un Governo a Kabul, diviso almeno tra la corrente di Baradar e la rete Haqqani ma anche dalla scarsa rappresentanza di alcune componenti religiose-culturali (una fra tutte gli Hazara sciiti vicini all’Iran).
- La possibile ripresa delle attività terroristiche che preoccupa in particolare Paesi vicini come il Tajikistan e che potrebbe consentire agli Stati Uniti di rientrare in gioco nella regione (da qui le voci di una possibile ma improbabile concessione di basi militari da parte di Mosca agli USA, nemmeno l’Uzbekistan le vuole concedere).
Se invece questo tentativo di integrazione eurasiatica riuscisse, agli Stati Uniti non rimarranno che due opzioni: o concentrarsi sulle proprie contraddizioni interne e affrontare una crisi economica/sanitaria ancora importante, così come auspicato ad esempio da Francis Fukuyama, oppure rilanciare la propria strategia bellica ritirandosi anche da altri teatri ormai secondari e dispiegare tutto il proprio potenziale bellico nella regione dell’Indo-Pacifico scatenando un conflitto vero e proprio contro la Cina.”.